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Per Aspera Ad Veritatem n.2
Rischio sociale e sicurezza nazionale: un metodo per l'identificazione delle minacce

Pio MARCONI




1. Il più conosciuto e, forse, il più profondo dei sociologi moderni, Max Weber, ci ha tramandato una immagine della società industriale caratterizzata dalla prevedibilità dei comportamenti, degli eventi e, quindi, della sicurezza. Secondo Weber, la situazione dell'uomo civilizzato si caratterizza per:
a) la fede generalmente acquisita nel fatto che le condizioni della sua vita quotidiana - tram, ascensore, denaro, tribunale, esercito, medicina ecc.- siano fondamentalmente di carattere razionale, cioè prodotti umani accessibili alla conoscenza, alla creazione e al controllo;
b) la fiducia nel loro funzionamento razionale, cioè conforme a regole note, e quindi nella possibilità, almeno in linea di principio, di "fare i conti" con esse, di "calcolare" il loro atteggiamento, di orientare il proprio agire in base ad aspettative precise, create per il loro mezzo. Ed in ciò consiste "l'interesse specifico dell'impresa capitalistica razionale in vista di ordinamenti razionali, il cui funzionamento pratico egli può prevedere al pari del funzionamento di una macchina" (Weber, 1913, p. 302).
La scienza ed un sistema di relazioni interpersonali caratterizzate dalla certezza rendono, nel quadro dipinto da Weber, l'uomo civilizzato, vivente in una società razionale-capitalistica, dotato di forti sicurezze e della possibilità di prevedere, attraverso procedimenti relativamente semplici, le conseguenze dell'agire privato e collettivo. Si sente, nelle pagine di Weber, l'ottimismo e forse il trionfalismo di chi analizza un'epoca definita da Polanyi come la "pace dei cento anni" (1944), che garantì all'Europa uscita dalle guerre napoleoniche un secolo di competizione mercantile e di emarginazione dello scontro militare generalizzato. Nell'arco che va dal 1814 al 1914 non mancano certo le guerre ma esse sono locali e non globali.
La competizione tra le nazioni si sviluppa viceversa, in quel periodo, attraverso la concorrenza, l'innovazione, la conquista dei mercati. Un altro dei padri della sociologia, Spencer, aveva caratterizzato la moderna società industriale per l'indole pacifica dei popoli e per l'orientamento del conflitto alla pacifica competizione più che alla brutalità della conquista, della rapina, della guerra.
Il passo di Weber prima citato è del 1913, e Weber stesso si dimostra "profeta tradito", molto rapidamente. Un anno dopo la pubblicazione di "alcune categorie della sociologia comprendente", l'Europa è travolta dal conflitto mondiale al quale succede un secondo conflitto seguito a sua volta da un cinquantennio di pace, fondata però sul bilanciamento delle armi e sulla reciproca minaccia di un calcolato rischio scientifico, quello nucleare.
Contro la descrizione-profezia di Weber, la società sviluppata contemporanea si configura come società della insicurezza e del rischio. Così la descrive Luhmann: "Col crescere della complessità dei sistemi sociali è senza dubbio inevitabile che si corrano dei rischi maggiori: dei rischi che non è più possibile evitare al livello del comportamento elementare faccia a faccia e neppure collegandoli a pericoli definiti in modo univoco a livello sociale, ma che rendono invece problematica e in termini estremamente vaghi la questione della sicurezza" (1970, p. 196).

2. Lontana dalla previsione-descrizione di Weber, la società contemporanea si manifesta come società che garantisce un gran numero di sicurezze e che, nel contempo, vede moltiplicarsi le insicurezze e i rischi.
La moderna tecnologia garantisce l'uomo, nelle società sviluppate, da classiche minacce: il freddo, la fame, la malattia. La società tecnologica è purtuttavia portatrice di nuove minacce. Innanzi tutto, quelle che derivano dalla sfida dell'uomo alla natura (l'incidente nella centrale nucleare o nella fabbrica di fertilizzanti chimici, il crollo del grattacielo, l'uso incontrollato o perverso della tecnologia a fini di distruzione o di manipolazione). In secondo luogo, quelle che derivano da una crisi nella alimentazione del sistema tecnologico; la crisi petrolifera degli anni settanta deve essere considerata una sorta di monito permanente alla società tecnologica: una variabile umana e politica (il prezzo di una fonte di energia) può condizionare lo sviluppo di un intero sistema sociale.
La vita sociale stessa si manifesta solo in apparenza più sicura. La vita umana appare certo più tutelata da aggressioni dirette. Le società sviluppate vedono costantemente calare il numero degli omicidi. Ma il sistema delle relazioni si fa spesso molto incerto. Lo sviluppo degli strumenti di comunicazione favorisce solo in apparenza la trasparenza dei mercati e la conoscenza dei contraenti. Ma le relazioni di tipo privatistico sono ipotecate da forti elementi di insicurezza per la moltiplicazione dei soggetti operanti e per le interconnessioni tra di essi. Un contratto in materia societaria ha oggi una forte dose di aleatorietà e di rischio in conseguenza anche della complessa rete di soggetti operante nell'ambiente dell'impresa.
La sicurezza del cittadino dall'aggressione criminale al patrimonio dovrebbe essere rafforzata da tecnologie di polizia sofisticate, da forze "pubbliche" professionalizzate, da una magistratura imparziale. Ma il sovraccarico di popolazione e di relazioni rende il patrimonio più vulnerabile al rischio criminale e rende spesso il criminale un soggetto difficile da reperire in conseguenza della densità omologante della popolazione.
La persona, più sicura per alcuni versi, meno soggetta al "rischio prevedibile" (malattia, brigantaggio extraurbano, ecc.), è tuttavia sottoposta a numerosissime aggressioni di tipo imprevedibile e a volte irrazionale (la violenza del tossicodipendente, l'incidente per colpa grave da alcolismo, l'esplosione di violenza, l'azione devastante immotivata, ecc.).

3. Nelle società contemporanee l'aumento della insicurezza riguarda non soltanto il "privato" ma anche i sistemi politici. Questi ultimi, pur dotati di consenso e di enormi strumenti operativi, appaiono soggetti ad una vulnerabilità moltiplicata. Come ricorda il passo di Luhmann prima citato, le società contemporanee sono soggette a rischi "che non è più possibile evitare al livello del comportamento elementare faccia a faccia".
Nelle visioni tradizionali, il rischio per la sicurezza di uno Stato può provenire dall'attività palese od occulta di un avversario definibile, il quale può operare con soggettività identificabili "faccia a faccia". Ai tempi nei quali scriveva Max Weber il rischio era rappresentato da un antagonista e da minacce alla sicurezza operate da soggetti determinabili (Mata Hari) e dotati di comportamenti occulti ma ricostruibili con elementari criteri logici.
Gli Stati contemporanei sono viceversa resi vulnerabili in conseguenza di alcune caratteristiche da essi assunte, in conseguenza della complessità del moderno agire politico e delle relazioni sempre più strette che si registrano nel circuito Stato-mercato-Stato.
Vi è innanzi tutto una vulnerabilità derivata dalla stretta interconnessione dei sottosistemi. La "forza" e il "prestigio" dello Stato contemporaneo sono dovuti alla "ricchezza della nazione" (prendendo a prestito la terminologia di Adam Smith), cioè della produzione, dell'appetibilità del prodotto, dalla innovazione, dalle risorse finanziarie, dalla propensione della finanza al rischio. La decisione politica è quindi in parte sottoposta alle fluttuanti logiche del mercato. Questo è purtuttavia dipendente dalla scelta pubblica: sia essa interna, sia essa internazionale. Un sistema di sottosistemi strettamente interdipendenti vede moltiplicarsi i luoghi della vulnerabilità. Un colpo inferto ad una azienda o ad un settore merceologico può tradursi in forma di destabilizzazione politica. Viceversa l'induzione di una decisione pubblica può produrre conseguenze rilevantissime nel campo economico.
In secondo luogo, vi è una vulnerabilità derivata dalla diffusione delle funzioni pubbliche. Lo Stato contemporaneo vede moltiplicarsi le proprie funzioni. Quasi tutti gli aspetti della vita sociale, relazionale, economica sono soggetti a regolamentazioni riportabili all'autorità pubblica. Ciò moltiplica i settori nei quali possa essere portato un attacco e inferta una lesione.
In terzo luogo, vi è una vulnerabilità dovuta alla comunicazione. La società contemporanea convive con strumenti di comunicazione che consentono a tutti i suoi componenti di immagazzinare ed elaborare in tempo reale una massa sconfinata di informazioni. La diffusione della comunicazione in tempo reale pone ulteriori problemi alla sicurezza. Di fronte ad una aggressione o ad una minaccia si pone un duplice problema: a) quello della risposta o della prevenzione, b) quello della gestione degli effetti comunicativi della lesione.
Soprattutto la diffusione della comunicazione rende estremamente vulnerabili le società a ciò che Merton ha definito come "la profezia che si autoadempie". Merton prende le mosse dal c.d. teorema di W. I. Thomas: "se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze". Gli uomini non rispondono quindi solo agli elementi oggettivi di una situazione, ma anche, ed a volte in primo luogo, "al significato che questa situazione ha per loro" (Merton, 1957, p. 678).
Il "caso" sul quale Merton lavora è quello della insolvibilità della Last National Bank nel "mercoledì nero" del 1932.
Nonostante la situazione di relativa liquidità della banca, una voce di insolvenza accolta da un certo numero di clienti si risolve effettivamente in una insolvenza della banca. "La salda struttura della banca - scrive Merton - dipendeva da una serie di definizioni della situazione: la fiducia nella validità del sistema di promesse economiche reciproche in cui gli uomini vivono. Una volta che i clienti avevano definito la situazione in altro modo, una volta messa in dubbio la possibilità che queste promesse fossero adempiute, le conseguenze di questa definizione irreale furono anche troppo reali" (1957, p. 679).
In quarto luogo, vi è una vulnerabilità dovuta ad una difficile definizione del rischio dovuto alla opacità degli antagonisti di un sistema. Una macchina fatta di interconnessioni tra Stato e mercato, caratterizzata dalla diffusione di funzioni pubbliche, non è spesso in grado di identificare l'antagonista con i criteri con i quali lo identificava lo Stato europeo dell'800.
Sia ben chiaro che le nuove vulnerabilità dei sistemi contemporanei non sostituiscono le vulnerabilità classiche dello Stato. Esse consistevano nel difetto di legittimazione, cioè nell'assenza di un grado di consenso verso i governanti tale da minimizzare una eventuale lesione, nonché dal deficit protettivo e di intelligence, cioè dalla debole presenza di un apparato di contrasto e dalla insufficienza di un sistema conoscitivo adeguato alla comprensione dei rischi.

4. La società moderna è insomma un aggregato che vede moltiplicate le occasioni di ricevere lesioni. Alla vulnerabilità classica unisce infatti nuove vulnerabilità derivate dal sistema moderno delle relazioni, delle interconnessioni, della trasmissione dell'informazione e dell'opinione.
Cambia nella società moderna il "rischio" per l'aggregato politico-sociale. Nello Stato moderno il rischio era riducibile alla coppia guerra-rivoluzione, con le variabili e le correlate figure attenuate. Nello Stato contemporaneo il corpo politico-sociale può venire ferito in una vastissima pluralità di metodi non riducibili né allo schema bellico né a quello rivoluzionario. Cambiano, in modo correlato, anche le metodiche di identificazione del rischio. Lo Stato moderno poteva orientare le proprie risorse a ben delimitati settori di pericolo. Nei sistemi contemporanei viceversa ogni area del sociale, dell'economico, del politico è portatrice di rischi.
Come ottimizzare, nel mondo contemporaneo, gli interventi orientati alla prevenzione del rischio per la sicurezza? Occorre, preliminarmente, riflettere sui modelli di interpretazione e di conoscenza del rischio elaborati dalle moderne scienze sociali.
In linea di massima abbiamo due modelli di approccio al rischio. Il primo è la risk analysis, che oggettivizza il rischio e lo rende passibile di una analisi ricollegabile a quella "dei costi e dei benefici" tipica della scienza economica.
La risk analysis affonda le sue radici "nel concetto di utilità della economia politica classica" (Marinelli, 1993). Tale analisi "si sostiene sulla pretesa di derivare delle asserzioni che prescrivono la realtà oggettiva (analitico-probabilistica) dei fenomeni, prescrizioni su ciò che è necessario fare - su ciò che è razionale dal punto di vista della particolare condizione decisionale" (Marinelli 1993, p. 72).
Il secondo modello è rappresentato dalla cultural theory of risk perception. Questa non pone l'accento sulla obiettività naturalistica del rischio bensì anche sulla cultura e sugli atteggiamenti di coloro (siano istituzioni, siano i cittadini) che percepiscono il rischio. "Nella percezione del rischio - scrivono Douglas e Wildavsky - gli esseri umani agiscono non tanto come individui isolati, ma come esseri sociali, che hanno interiorizzato pressioni sociali e che hanno delegato i processi di decision making alle istituzioni" (1982, p. 80). L'approccio della cultural theory è significativamente diverso da quello della risk analysis. Nel secondo modello di analisi si parte da un dato (essere) per ricavarne una prescrizione (dover essere). Nel primo caso ci si muove soprattutto nella dimensione del dover essere. Il rimedio al rischio non è correlato ad un essere (ad un rischio oggettivo) bensì ad un sistema di dover essere, alla "percezione di tutto ciò che è considerato come socialmente accettabile nella situazione data" (Marinelli, 1993, p. 73).
La risk analysis può apparire come uno strumento adeguato a fronteggiare i rischi in una condizione nella quale essi siano di numero limitato e localizzabili in modo certo. L'analisi culturale del rischio appare sicuramente più adeguata alla comprensione del rischio nei modelli sociali complessi caratterizzati da numerosissime interconnessioni (che rendono difficilmente prevedibile il luogo del pericolo) e da un sistema di informazioni globali portatore a sua volta di concreti effetti sociali.
Le società complesse dovrebbero investire una quantità illimitata di risorse alla conoscenza del rischio condotta con il criterio ingegneristico dell'analisi costi/benefici. L'osservazione e la predisposizione di misure preventive dovrebbe riguardare - a tappeto - tutte le congiunture sociali dalle quali potrebbe enuclearsi una minaccia per la sicurezza della compagine sociale o dello Stato.
I criteri indicati dall'analisi culturale del rischio propongono, viceversa, di enucleare innanzi tutto i luoghi considerati portatori di rischio da una determinata cultura sociale e di orientare al monitoraggio dei medesimi le risorse conoscitive (o di intelligence) del sistema.
La cultural analysis consente quindi di razionalizzare gli investimenti conoscitivi e di fornire risposte adeguate ai bisogni di un pubblico che, nel sistema comunicativo globale, è il primo oggetto della lesione.
Un lavoro di intelligence, condotto con i criteri della metodica prassi dello studio del rischio, non può limitarsi a segnalare o ad ipotizzare le lesioni possibili ma deve preliminarmente riuscire ad enucleare gli ambiti del contesto sociale che la cultura sociale vuole intangibile e comunque protetti.
L'attività di intelligence si divide quindi in due. Innanzi tutto in un lavoro di analisi e valutazione delle zone della società nelle quali una lesione avrebbe effetti di destabilizzazione. In secondo luogo una analisi delle potenzialità e della consistenza della entità che potrebbe produrre la aggressione.
L'analisi culturale del rischio suggerisce anche una nuova dimensione della sicurezza. Le società complesse, tecnologicamente avanzate e caratterizzate da una infinità di interconnessioni, non consentono il raggiungimento di una condizione di piena e assoluta sicurezza. Le trasformazioni sociali e tecnologiche rendono progressivamente aleatoria la vita sociale.
La collettività stessa, nelle società complesse, è per alcuni versi preparata al rischio e disponibile al rischio. Essa però richiede alle istituzioni ed al decision maker che l'evento lesivo sia per lo meno circoscritto e sia stato previsto con la predisposizione di un sistema di prevenzione anche se non assoluto per lo meno adeguato.

5. La cibernetica di secondo ordine (cfr. Marinelli 1993, p. 121 e ss.) suggerisce una distinzione utile alla comprensione della attività dell'entità produttrice di una possibile minaccia o lesione al corpo sociale e allo Stato. Si tratta della distinzione tra trivial machine e non-trivial machine. La trivial machine è la macchina banale caratterizzata da una relazione lineare tra il suo input e il suo output, è una macchina quindi prevedibile e deterministica. La macchina non-banale si rifiuta viceversa di comportarsi in maniera corrispondente a come sarebbe lecito aspettarsi: in essa le relazioni input/output non sono invarianti ma sono determinate dal precedente output della macchina medesima.
La distinzione qui suggerita serve a non cristallizzare l'indagine sul presupposto della razionalità della entità che produce il rischio. La macchina antagonista che agisce contro una società ed uno Stato può essere non-banale in molti sensi che qui di seguito vengono enumerati:
a) essa può agire al di fuori di ogni tipo di valutazione razionale (non-banale è anche una macchina che si mette in moto da sola con le conseguenze più imprevedibili);
b) essa può agire nella normalità in modo banale ma in alcuni casi muoversi con una logica "impazzita";
c) essa può memorizzare le risposte sociali ed adeguare quindi il proprio comportamento a quello dell'entità aggredita, innovando quindi costantemente le modalità della propria espressione.
La teoria della macchina non-banale serve anche a ricordare che la lesione della sicurezza può venire anche da eventi fortuiti ed inseriti in logiche esterne al circuito rischio-sicurezza.

6. L'analisi del rischio offre alla riflessione sulla sicurezza un ulteriore motivo di meditazione. Esso è relativo agli obiettivi che le istituzioni deputate alla sicurezza devono raggiungere.
L'obiettivo "massimo" è certo quello della prevenzione assoluta dell'evento dannoso. La complessità della società moderna rende tale ipotesi di difficile perseguibilità. La società degli spostamenti di massa, del divertimento di massa, delle innumerevoli relazioni impersonali è un organismo difficilmente cristallizzabile e controllabile. Forme di controllo assoluto della società sono certo progettabilli. Ma a discapito della mobilità sociale e umana e di valori considerati oggi irrinunciabili: la privacy, la libertà.
Oggi si assiste alla crisi di due strumenti classici di garanzia della sicurezza: il diritto e la forza. Il primo non è sempre in grado di essere efficace. La seconda potrebbe garantire la sicurezza ma a costi non sostenibili da uno Stato di diritto e da una società democratica.
Vi è poi un obiettivo intermedio: quello della controllabilità del rischio. La gravità della lesione alla sicurezza è direttamente proporzionata alla imprevedibilità di essa. Le aspettative di sicurezza del corpo sociale non sono assolute. La cittadinanza delega alle istituzioni e al sistema delle decisioni politiche il compito di predisporre misure di prevenzione adeguate al rischio. L'evento dannoso ha sempre conseguenze devastanti e destabilizzanti. Ma la destabilizzazione è sicuramente minore se esiste la certezza o la consapevolezza che il sistema difensivo di una società è stato attivo e che esso ha operato al massimo al fine della prevenzione.
Nella società moderna emerge quindi un nuovo strumento di prevenzione del rischio per la sicurezza. Esso consiste nella conoscenza. Conoscenza dell'ambiente sociale e degli snodi che la collettività considera meritevoli della massima protezione. Conoscenza dell'entità antagonistica considerata nelle tre variabili: della machina banale, della macchina non-banale, della macchina impazzita.





Bibliografia

- M. Douglas, A. Wildavsky, Risk and Culture, Berkley, 1982.
- N. Luhmann, Soziologische Aufklaerun, Westdeutscher Verlag 1970, trad. it. Milano, 1983.
- A. Marinelli, La costruzione del rischio, Milano, 1993.
- R. K. Merton, Social Theory and Social Structure, Glencoe III, 1957, trad. it. Bologna, 1959.
- K. Polanyi, The Great Transformation, New York 1944, trad. it., Torino, 1974.
- M. Weber, Gesammelte Aufsaetze zur Wissenschaftslehre, Tuebingen 1992, trad. it. Torino, 1958.



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